A volte, per tornare da Jesolo, anziché la consueta e battutissima strada che porta a Caposile sull’argine sinistro del Fiume si cerca, in maniera piuttosto avventurosa, di imboccare la stradina che corre lungo l’altra sponda, sperando di trovarvi meno traffico. La speranza e quasi sempre vana; anzi, essendo questa strada più stretta, s’incontrano spesso maggiori difficoltà a percorrerla. Se però si riesce a mettere da parte la fretta, l’itinerario presenterà non poche sorprese, ad iniziare dal paesaggio, decisamente più invitante che sulla riva sinistra. Ad ogni curva, e sono tante nei nove chilometri del percorso, si può ammirare qualche scorcio del Sile (Piave Vecchia) o qualche sprazzo di laguna, che compaiono inaspettati fra i campi di mais e le siepi di acacia.
Partendo dal Municipio (vecchio) di Jesolo si dovrà prendere Via Dragojesolo. Dopo circa tre chilometri, sulla sinistra si troverà l’impianto di potabilizzazione di “Torre Calìgo”, che preleva l’acqua dal Sile e la immette nell’acquedotto Jesolano. Poco più avanti si incontrerà, sempre sulla sinistra un rustico capitello. A prima vista sembra molto antico, ma poi si pensa che su questa lingua di terra è passato un anno di guerra, e allora si capisce che tanto vecchio non può essere. Comunque i suoi cinquant’anni li ha ormai compiuti, essendo stato eretto nel 1936, in onore di Sant’Antonio, dalla famiglia Saramin, che aveva fatto voto al Santo di costruire l’edicola sacra se il figlio fosse tornato dalla guerra d’Africa.
Un chilometro ancora e siamo ai resti della “Torre Calìgo”, i resti di una costruzione rettangolare e diroccata, che sembra messa lì apposta per recintare un alto e vecchio sambuco che dentro vi cresce. Sulla facciata della torre rivolta verso la strada, c’è uno strano altorilievo naif. Vi sono rappresentate una sigla SR (San Romualdo), una croce, delle pecorelle. È opera di Virginio Lion , un agricoltore che abita nella casa di fronte e che ha voluto sintetizzare così la leggenda di un monastero costruito nei dintorni da San Romualdo, nel medioevo. Forte di questa tradizione, la famiglia Lion, per anni, ha anche organizzato una piccola sagra di colmello il 7 febbraio. A coronamento di una giornata che iniziava con una Messa attorno ai resti della torre, c’era l’immancabile giostra a catenelle (ma a volte arrivava anche il Circo Ellis), si disponevano dei tavoli, si mangiava carne e pesce alla brace, si beveva vino. Era un modo per tenere unita, e portare all’attenzione anche dei paesi vicini, una comunità di poche case, che per il resto dell’anno viveva isolata, avvolta dalle brume del persistente “caìgo”di Sile e laguna.
(rif. Camillo Pavan, alla scoperta del Fiume, immagini storia, itinerari, ed. in proprio pag. 159 /Via SALSI)